Con sentenza n. 10576 del 28 aprile 2017, la Corte di Cassazione ha affermato che per un licenziamento di un lavoratore disabile, motivato da aggravamento delle condizioni di salute con conseguente inidoneità alla specifica mansione, non sono sufficienti l’accertamento del medico competente (art. 41 del decreto legislativo n. 81/2008) ed i successivi provvedimenti datoriali in esecuzione della previsione contenuta nel comma 8 dell’art. 42, ma occorre l’accertamento della commissione medica pubblica individuata dall’art. 10, comma 3, della legge n. 68/1999 (legge speciale). Il lavoratore può essere licenziato soltanto se, a seguito dell’aggravamento accertato dalla commissione medica appena citata (la quale potrebbe anche pronunciarsi per una inabilità assoluta), il lavoratore disabile non possa essere inserito in un’attività, neanche adattando l’organizzazione lavorativa. In tal senso la Corte si è espressa secondo l’orientamento già seguito con le sentenze n. 15269/2012 e n. 8450/2014.
Si ricorda che anche con il decreto legislativo n. 23/2015 (art. 2, comma 4) qualora si rilevi il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, il giudice dichiara illegittimo il recesso e condanna il datore di lavoro alla reintegra con il pagamento, non minore a cinque mensilità, delle retribuzioni e della contribuzione fino alla data della ripresa dell’attività (dedotto l’eventuale “aliunde perceptum “), con la possibilità per l’interessato di rinunciare al posto di lavoro previo il pagamento di quindici mensilità calcolate sull’ultima retribuzione utile ai fini del calcolo del TFR.
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